giovedì 23 aprile 2015

Folk Bottom vol.26 (2°st) - Pristine Moods: gioco di corde sulle orme di Basho


Folk Bottom
Domenica 26 Aprile 2015
ore 15.30 - 16.30

Domenica 26 aprile Folk Bottom ospita in studio i musicisti del nuovo progetto Pristine Moods per parlare del loro album d'esordio omonimo uscito il 27 marzo per l'etichetta "I dischi del Minollo". Un incontro, quello tra Matumaini (voce, ukelele, banjo, mandolino),Gherardo Zauber (basso, theremin) e Michele Venturi (chitarra, voce), che si presenta innanzitutto come convergenza di esperienze e formazioni personali di differenti ambiti musicali. Le composizioni di questo lavoro si lasciano apprezzare per la giocosità e la spontaneità con cui le differenti corde dialogano tra di loro nell'intento di evocare atmosfere soavi e di essenziale purezza acustica. Sullo sfondo aleggia il riferimento a Robbie Basho, personaggio unico della popular music, anima errante e misteriosa che come pochi ha saputo elevare ad arte sublime la chitarra folk ed esplorarne le infinite possibilità espressive. Non mancano di certo reverenze e debiti nei confronti di Basho nell'ambito del folk-psichedelico contemporaneo, il cui lascito è testimoniato dal sentito omaggio della raccolta We Are All One, In The Sun del 2010 curata da Buck Curran degli Arborea in cui figurano suggestive rivisitazioni del chitarrista americano e brani originali di chiara derivazione emotiva, interpretate da nomi di spicco come Steffen "Basho" Junghans, Glenn Jones, Meg Baird, Helena Espvall e Fern Knight. Riflettendo su uno degli scritti di Basho in cui associava ad ogni accordatura un colore e una sensazione, l'attenzione di Matumaini e compagni è ricaduta sul Pristine White, colore-mood associato ad un'accordatura che viene utilizzata in alcuni brani dell'album. Il parallello con Basho mette comunque da parte quegli esiti epici, onirici e  visionari propri del romanticismo istrionico e furibondo del suo corposo fingerpicking, e si risolve più serenamente in un sentito "inno alla semplicità".

(a cura di Andrea Maria Simoniello)

domenica 19 aprile 2015

Folk Bottom vol.25 (2°st) - Vincenzo Zitello : la Musica delle Sfere


Folk Bottom
Domenica 19 Aprile 2015
ore 15.30 - 16.30

Polistrumentista, compositore e pioniere indiscusso dell’arpa celtica e bardica in Italia, amico e allievo del “druido” bretone Stivell, Vincenzo Zitello conduce dalla fine degli anni Settanta la sua personale e raffinatissima ricerca musicale con la quale ha coniato una visione di folk-progressivo d’ampio respiro che ha pochi eguali in ambito internazionale. Un percorso creativo unico che con lavori come La Via (1994), Aforismi D’Arpa (1998), Atlas (2007) e Talismano (2011) lo ha portato a fondere sapientemente la sua prima formazione classica e le sue radici mediterranee con il vento misterioso sprigionato dalle musiche del Nord. La musica di Zitello si fa apprezzare soprattutto per la sua qualità “spaziale“, nella capacità di costruire sequenze melodiche e architetture armoniche d’impercettibile natura eterea e celeste, che celano però allo stesso modo rimandi a precise impressioni ed emozioni del vissuto terrestre, suggeritrici di una esistenza fatta di improvvise e folgoranti rivelazioni segrete, sempre connesse, grazie alla mediazione metafisica dello strumento del Sidhe, con dimensioni più alte di conoscenza e bellezza.
In occasione del concerto svoltosi il 29 Marzo a Castelluccio di Porretta nell’ambito della rassegna “Castagno Ispidi Ricci” abbiamo incontrato il musicista d’origini modenesi per parlare del suo più recente lavoro discografico Infinito (Telenn, 2014), dedicato alle quattro stagioni concepite come immagine ideale di palingenesi naturale fondata sull’armonia degli opposti. Un lavoro d’intensa orchestrazione sinfonica dove l’arpa sorregge tutto l’incanto di un fitto ricamo elaborato da strumenti classici come l’oboe, il corno inglese, il flauto, la viola ed il violoncello. Domenica 19 aprile Folk Bottom ripropone le fasi più salienti dell’intervista con Zitello che ha permesso di far luce anche su aspetti legati alla sua formazione ed evoluzione stilistica.

(a cura di Andrea Maria Simoniello)

mercoledì 1 aprile 2015

Folk Bottom vol.24 (2°st) - Goodbye Mr.Renbourn



In occassione della sua scomparsa avvenuta il 26 marzo scorso, domenica 5 aprile Folk Bottom rende omaggio al compositore e chitarrista britannico John Renbourn, ripercorrendo gli aspetti salienti della sua ricerca artistica tra la fine degli anni Sessanta e nel corso dei Settanta. L'invito per l'ascoltatore è quello di una breve ma intensa paronamica delle pagine più belle del folk-revival britannico che vede in Renbourn uno dei massimi interpreti della sua seconda fase storica quando, dopo un semplice recupero filologico dei repertori tradizionali, diverse esperienze portarono all'innesto di nuovi elementi sonori. Il suo profondo interesse per lo "skiffle" di derivazione americana, di autori come Lead Belly, Josh White e soprattutto Big Bill Broonzy , nonchè il fascino subito da un lavoro pioneristico come Folk Blues & Beyond di Davy Graham del 1965, portarono Renbourn a coniare uno stile unico, elegante e raffinato che mescolava con tecnica "fingerstyle" sopraffina folk, blues, jazz e country. L'esordio del musicista inglese avviene con l'album Another Monday del 1966, per quanto già al 1965 data la collaborazione con la cantante afro-americana Dorris Henderson per There You Go!. Nello stesso 1966 è la volta dell'omonimo John Renbourn che conteneva piccole delizie come "Song" e "Judy", e soprattutto di Bert & John, realizzato in compagnia dell'amico Bert Jansch con il quale da lì a poco avrebbe formato il mitico quintetto dei Pentangle con Terry Cox,Denny Thompson e Jacqui Macshee. In quell'incontro del 1966 il duo chitarristico già interpretava con maestria alcuni brani che saranno poi cavalli di battaglia del repertorio concertistico dei Pentangle, tra cui "No Exit", "Goodbye Pork Pie-Hat" di Mingus e "The Time Has Come" di Anne Briggs, le cui versioni più suggestive sono contenute nel doppio Sweet Child del 1968. Nel medesimo anno Renbourn trova il tempo di lavorare anche al fondamentale Sir Jon Alot Of Merrie Englandes che segnerà una direzione nuova di ricerca, un percorso che avrebbe virato verso il recupero delle sonorità specifiche della musica britannica dell'epoca medievale, rinascimentale e barocca. Questo nuovo indirizzo artistico vedrà nei lavori The Lady And The Unicorn del 1970, The Hermit del 1976 e The Black Baloon del 1979 dei vertici espressivi ineguagliabili. L'operazione di Renbourn va ben oltre il semplice approccio filologico ma si nutre di una nuova visione e di uno sperimentalismo che lo portano ad inserire anche uno strumento lontano come il sitar indiano all'interno di strutture armoniche di sapore europeo. Questo sguardo verso l'oriente fu proprio, non solo di diverse composizioni contenute in Basket Of Light (1969) dei Pentangle o The Lady And The Unicorn, ma anche di un brano celebre come "The Cuckoo" che primeggiava nell'album Faro Annie del 1971, in cui venivano riproposte le salde radici sonore proprie dei primi dischi. Sul finire dei Settanta Renbourn intraprenderà anche un felice sodalizio artistico con lo statunitense Stefan Grossmann, altro maestro indiscusso della poetica "fingerpicking" accanto a John Fahey, Leo Kottke e Robbie Basho. Tuttavia il legame intimo con le tradizioni della propria terra spingeranno Renbourn a voler approfondire ulteriormente le possibilità di un originale "sound antico" adatto a celebrare i fasti gloriosi della Old-England. E così il formalismo classico del chitarrista britannico troverà ulteriore linfa magica nell'esperienza del John Renbourn Group, formato radunando alcuni amici di vecchia data come la Macshee e Tony Roberts al flauto, accanto a Sue Draheim al violino e Keshave Sathe alle tabla. Con questa formazione vede le stampe un altro piccolo capolavoro come A Maid In Bedlam del 1977, a cui fa seguito The Enchanted Engarden nel 1980, e l'imprescindibile Live In America del 1982. 

 (a cura di Andrea Maria Simoniello)