martedì 12 agosto 2014

Andrea Seki - Orizzonti Bardici

Il percorso artistico, musicale ed umano di Andrea Seki si colloca nell'ambito di una poetica di folk immaginario e visionario che apre alla possibilità di una ricerca sonora in continua espansione, le cui variopinte sfumature oscillano tra un sentito sguardo verso la tradizioni del passato e un costante anelito verso i linguaggi di un nuovo archetipo futuro. Originario della Tuscia, Seki muove da giovanissimo i suoi primi passi nel mondo della musica abbracciando prima lo studio della chitarra e, successivamente, quello del liuto rinascimentale e barocco. Il suo forte interesse per la musica antica lo porta ad approfondirne i repertori frequentando alcuni tra i migliori maestri europei di liuto, tra cui Andrea Damiani e Jacob Lindberg, con il quale studia a Londra nei primi anni Novanta. Una prima svolta del suo viaggio musicale è peró l'incontro profondamente spirituale con la musica indiana. Inizia così la pratica anche del sitar sotto la guida di Gianni Ricchizzi, profondo conoscitore dell'universo sonoro indiano e fondatore della Saraswati House presso Assisi. I numerosi viaggi in India, specialmente i soggiorni di studio a Varanasi, dove studia con il grande pandit Raj Bhan Singh, approfondiscono questa componente del percorso (concretizzato con il diploma presso l'istituto indiano Prayag Sangeet Samiti di Allahabad nel 2000) offrendo la possibilità di penetrare anche altri aspetti della cultura indiana come lo yoga, la medicina ayurvedica e il pensiero filosofico in generale. L'incontro decisivo con l'arpa celtica avviene durante un viaggio di ricerca sonora nel '95 in Bretagna, con il quale suggella il ritorno ad una terra dell'anima da tempo conservata nell'inconscio. Da questo momento in poi Andrea si dedicherà totalmente all'arpa con devozione bardica, vedendo in essa il più grande dono della vita, lo strumento di una missione spirituale senza confini che tutt'oggi lo conduce. Dopo i primi anni di studi con Hervé Queffelan (An Triskell) presso l’Ecole Nationale de Musique a Brest, dove viene indirizzato all'approfondimento dei repertori della tradizione bretone, irlandese e  gaelica scozzese, apprende successivamente le tecniche dell'arpa gaelica antica (a corde di metallo detta” Clarsaich”) con la harper Violane Mayor, e si perfeziona presso gli stage organizzati dal CRIHC (Comité Rencontres International De Harpes Celtique) di Dinan, di cui oggi è membro attivo. I viaggi lungo le rotte celtiche lo portano a ripetuti soggiorni e lunghi periodi di vita in Bretagna, Irlanda e anche in Galizia. Frequenta e collabora con artisti importanti del circuito della world music e del folk celtico tra cui i galiziani Luar Na Nubre (sua è l’arpa nel brano Canto De Andar nel disco  Camiños da fin da Terra del 2007) Myrdhin, Eoin Duignan, Kristen Nikolaz dei Kern, Fabrice de Graef, David Hopkins etc. Parallelamente al raggiungimento di una personale padronanza stilistica con l'arpa celtica Andrea da vita nel 1998 al progetto musicale "Elfic Circle", concepito come un collettivo aperto di musicisti di diversa formazione musicale, secondo un energia operativa che negli anni Settanta era già stata tipica di collettivi come i tedeschi Popol Vuh ed Embryo o gli Aktuala in Italia. 


La vena squisitamente sperimentale degli "Elfic Circle Project", in cui confluiscono elementi disparati quali la tradizione bardico-celtica, la musica indiana, il rock e le sonorità del folk di matrice più psichedelica e trance, è testimoniata da un intensa attività concertistica in Europa ed India, e trova una prima sintesi originale nei primi album Verso Ys e Journey To Another Land. Le composizioni del primo, dopo una primitiva uscita su cassetta e cd autoprodotti, vedono una pubblicazione più ufficiale nel disco Fairylands del 2001 prodotto da Giorgio Calcara. Il lavoro, se pur suggerisce ancora l’ascolto di un sound per certi aspetti ancora in rodaggio e dunque sottilmente acerbo in alcuni passaggi in cui si percepisce la ricerca di un suo assetto più omogeneo, contiene già gli ingredienti tipici delle opere successive e testimonia di una visione musicale sicura e consapevole delle strade da percorrere nel futuro. La musica di Seki e compagni si presenta sin dall’inizio misteriosa, sprigionatrice di messaggi segreti e magici, collocandosi nella volontà di un serrato dialogo tra tepore nordico celtico e mistica orientale. Se la titletrack Fairylands è un tema angelico che rivela precocemente la cifra dello stile bardico tipica di più tarde composizioni, una melodia di sapore crepuscolare che apre irrimediabilmente al “sogno” grazie anche al contributo prezioso alla viola da gamba di Massimiliano Annibaldi (fedele collaboratore anche nei successivi dischi), la raffinata Bardic Suite testimonia dell’interesse costante per le danze della tradizione bretone. L’amore per le terre d’Armor si fa esplicita anche grazie al recupero di antichi testi della celebre raccolta delle Barzaz Breizh, tra cui Yannig Skolan e Un Durzhunel, mentre l’omaggio alla musica indiana si manifesta nell’improvvisazione del Raga Bhimpalasi registrata a Varanasi, e dove Seki suona il sitar accompagnato al sax dal jazzista Roberto Rega. L’importanza di questo primo lavoro risiede però anche nel condensamento, in sede di elaborazione dei testi, dei temi cari all’immaginario culturale-spirituale di Seki. E così, in un progetto che si propone di celebrare “lo spirito selvaggio e guerriero” di quelle terre che accolsero la leggendaria e maestosa città di Ys (celebrata nei brani Verso Ys…e Ritorno a Ys) custode di una perduta e preziosa coscienza universale  sommersa dall’avvento del mondo cristiano romano, si alza una voce “messianica” e “profetica” circa le sorti dell’umanità;  e questo in brani come Aurora Siderale (“…ritorneremo come stelle alle bianche torri di luce/nell’oscurità della notte/ritorneremo come sogni e pensieri/nelle siderali valli stellari/e viaggeremo oltre i pensieri/verso le siderali valli senza fine...”), presente solo sull’iniziale Verso Ys, o Al Di Là dell’Oceano (“…credo sia il tempo di andare oltre l’oceano/lasciando le nostri menti/nel fluttuare delle paure…”).


A Journey To Other Land del 2005 non si discosta di molto dalle precedenti incisioni, semmai ne perfeziona i contenuti e gli intenti di esplorazione psichedelica, ma ne conserva una medesima e sostanziale strutturazione dei brani, ancora una volta tutti originali. Nell’incipit Secret Legends Seki si cimenta anche alla dilruba (esraj) ed è questo cordofono indiano a dialogare magicamente con la viola da gamba del solito Annibaldi, a creare un flessuoso tappeto sonoro antico che profuma di solarità orientale, una sorta di bordone vaporoso su cui volano le derive armoniche dell’arpa ed incedano equilibrate percussioni esotiche. Breton Circle ci conduce ancora nel mondo archetipo delle melodie bretoni mentre in Malkons (night raga), il recupero del Raga Malkauns sembra aprire ancora a certe cadenzialità tipiche della danza orientale, percezione sostenuta anche dal canto di matrice vedico-mantrica, di cui Seki ne offre buoni saggi appresi duranti i suoi soggiorni levantini. La perla del disco è però Menez-Hom, piccola suite indo-celtica dall’intensa carica ipnotica arricchito da synth di gusto notturno e dal ritmo incalzante del program-drums; il risultato è quello di una musica squisitamente trance-progressiva, espressa però nei termini della jam-improvvisata che ben documenta una certa indole “freak” d’approccio libero, collettivo e spontaneo all’esecuzione, e dove il sax corposo di Rega apre a venature jazzistiche ben amalgamate ai vocalizzi eterei. Menez-Hom è forse il brano che consacra una prima maturità espressiva, le cui soluzioni formali preannunciano una più compiuta rivoluzione sonora attuata più avanti in Through The Passage del 2010. Il disco presenta inoltre un ulteriore versione di Aurora (con testi anche in inglese e mutuata dalla originaria Aurora Siderale) dove però l’atmosfera ricamata dalla dilruba si fa ancora più onirica e fantasmagorica, apre ad una dimensione “altra” colorata dal suono galattico delle corde di metallo dell’arpa dal quale nasce ancora una volta il canto devozionale del visionario. La voce narrante in tedesco di Anita Foerster amplifica poi il tono di astrazione cosmica del brano, c’è quasi qualcosa delle suite spaziali degli Ash Ra Temple dalle parti di Jenseits (Join Inn, 1973), ma qui rimane l’arpa il vero cerimoniere del suono. Altro brano d’interesse è quello che da il titolo al disco, ovvero A Journey To Other Land (tuttavia non incluso nel mastering finale e inizialmente ideato anche in una versione cantata) che conferma il mood progressivo del gruppo, abile nel disegnare frequenze a cavallo tra il jazz-rock e il mondo mitologico dell’arpa.

 

La musica degli Elfic Circle Project, perciò, si fa subito narratrice di un arcano universo interiore e, seppur debitrice in quelche modo dei pionieri dell’arpa celtica bardica come Myrdhin o Alan Stivell, si fa promotrice di una rielaborazione personalissima delle fonti antiche d’ispirazione, sia celtiche che indiane. E la vocazione profondamente bardica di Seki lo accosta piuttosto al mondo del folk-psichedelico europeo, accanto a personaggi come Robin Williamson o In Gowan Ring, con i quali condivide lo spirito dell’eterna giovinezza propria del bardo-menestrello medievale (e non è un caso che Seki ha sempre riconosciuto un personaggio nostrano come Angelo Branduardi tra i suoi artisti più ammirati). La profonda conoscenza dell'universo dell'arpa celtica e dello stile bardico è consacrato nel libro-cd L'arpa celtica del Sidhe (divenuto in Italia un autentico cult nel settore) edito da Stampalternativa nel 2007, in cui vengono affrontati diversi aspetti storici, antropologici, esoterici e terapeutici dello "strumento del sogno". Le composizioni contenute nel cd Arpe Del Sidhe (in pratica uno split con brani tratti anche dal disco Harpsody del 2004 del Duo Ars Celtica di Zil & Myrdhin, che cura anche un saggio del libro), sono forse quelle stilisticamente più affini all’emblema di uno stile bardico, nella misura in cui si fa parlare all’arpa una lingua naturale, più fluida, che trae ispirazione da un contatto intimo con il paesaggio circostante e da un segreto dialogo con gli elementi della terra, dell’acqua e dell’aria. In questo modo le composizioni di Seki finiscono per essere delle “intuizioni-meditazioni” che sembrano nascere da una “coscienza cosmica superiore”, della quale l’arpista-bardo ne diventa l’ideale tramite per la concreta rivelazione di nuove forze nascoste. The Last Breeze Of Summer è tema tra i più belli del repertorio dell’artista viterbese, brano che rievoca le ore passate a suonare e comporre sulle baie di Crozon e Douarnenez nel Finisterre bretone, terra di miti e leggende in cui tutt’oggi risiede. Se in Ottobre In Galizia il suono dell’arpa si fa più rarefatto, progredendo lento come un fiume carico di sottili vibrazioni amplificate da inserti di campane tibetane e sonagli quasi impalpabili, il mood di Onde D’Atlantico si fa più inquieto e onirico e delinea un paesaggio più frastagliato, come da foresta oscura sconvolta dalla tempesta del mare, in cui si perdono lontani nello sfondo le derive melodiche del solito Rega al sax. Gli altri due brani del disco sono altre due incisioni pregevoli e confessano del legame inscindibile che Seki instaura con la tradizione bretone e gaelica. In Gaelic Winds tutto è puro movimento, lievitazione in uno spazio immaginario dove alcune tunes irlandesi e una curiosa “tarantella atlantica” sono trasposte e variate con grande fantasia d’arrangiamenti, tutto come se fosse un grande flusso di onde oceaniche o un gioco di venti ascendenti e discendenti; mentre Troellen Breizh (spirale bretone) ripropone una suite di tre danze tradizionali bretoni. 


Arpe Del Sidhe segna dunque in maniera più sistematica la volontà, tipicamente bardica, di reinterpretare e perciò mantenere in vita (non imbalsamandole nella pura tradizione) le antiche melodie; volontà che si palesa anche nelle esibizioni dal vivo, dove all’esecuzione di brani interamente di propria composizione, Seki può accostare le variazioni su temi celebri (è il caso delle celebri Scarborough Fair o Maru Pontakalleg) e arrangiamenti nuovi di differenti stili di danza (laridé, gavotte o plinn). In effetti le incisioni su disco non esauriscono del tutto le possibilità espressive dell’Elfic Circle Project che tra il 2007 e il 2009 vive anche una intensa stagione concertistica tra Bretagna, Italia, Germania, Galizia e alcune tappe in India. Di questo periodo è da segnalare almeno il trio con lo stesso Seki all’arpa e al canto, Christian Noçon al sitar, e Debasish Bhattacharjee alle tabla.
Nello stesso 2009 l'incontro con il produttore e musicista americano Delmar Brown (già collaboratore con i vari Gil Evans, Miles Davis, Quincy Jones, Jaco Pastorius, Sting, Youssou N’Dour e Peter Gabriel) da luce al lavoro Through The Passage (edito da WPM e Compi Media) che riflette, accanto ad una nuova evoluzione sonora, anche i suoi principali interessi antropologici ed esoterici legati alle mitologie dei "popoli del mare", alla sapienza dei Celti e al mito di Atlantide, sullo sfondo di uno sguardo che annuncia l'arrivo di una nuova epoca. “L’album Through The Passage – specificano le note di copertina – rappresenta il passaggio interiore che mi ha sempre affascinato in modo particolare. È il passaggio oltre la soglia terrestre per entrare nel regno siderale del sogno, il territorio magico e misterioso dove il nostro cuore si libera da tutti gli oneri e le preoccupazioni del lungo e faticoso cammino della nostra vita quotidiana. Ed una volta superato il passaggio si arriva a vedere e volare nella visione di questo nuovo orizzonte…di questa nuova galassia”. Sul piano strettamente musicale il disco segna la compiuta maturità artistica non solo sul piano compositivo e tecnico (con l’introduzione anche dei FX pedals alle arpe) ma soprattutto nella maestria degli arrangiamenti. L’interesse di Brown a produrre il nuovo materiale nasce a registrazioni già effettuate secondo una ben precisa concezione orchestrale che inevitabilmente viene modificata in parte dai nuovi lavori di mixaggio. L’introduzione dei synth digitali, se da un lato conferisce un aspetto più “sintetico” al sound, tuttavia risulta decisamente equilibrato e non risulta mai invasivo; anzi, per certi aspetti creano un intelligente piattaforma, una base funzionale (quasi da onde fluttuanti) per gli slanci armonici e melodici dell’arpa che qui raggiunge notevoli confini d’espressività. Grande attenzione viene riservata all’uso delle voci con ben tre diverse cantanti di supporto (Anita Foerster, Mundina Moruniq e Alice Sondergaard), che suggeriscono per tutta la durata dell’album un continuo viaggio verso una altra dimensione di coscienza. Come per le voci, anche la base ritmica è altamente curata e segna una svolta decisiva (con un uso più corposo del drum programming) verso atmosfere-trance dalle maggiori implicazioni ipnotiche. Il sound sperimentale che ne fuoriesce è efficace e coinvolgente (probabilemente anche più diretto e fruibile in alcune parti), con intuizioni e soluzioni originali che possono trovare al massimo qualche collegamento con un progetto come l’Afro Celt Sound System. Il tema iniziale di Cies è magico nel rievocare le atmosfere notturne della piccola isola galiziana, una melodia delicatissima che si pone a cavallo tra il devozionale sciamanico e il lullaby più incantato. Il connubio felice tra synth, arpe e voci si evince soprattutto da brani come Trance Ar Mor e Through The Passage mentre in Voyage Of Sherdan si evince al meglio anche un certo sperimentalismo linguistico, laddove Seki si cimenta in linguaggio quasi “ad hoc” che include elementi bretoni e vedici. Il punto più alto dell’arte di Seki è forse raggiunto in Mystery Of Dana dove all’overture epica del synth segue un giro spettrale d’arpa che sfocia in un intreccio barocco con viola da gamba (il solito Annibaldi) e voce di rara bellezza, mentre il finale è quasi da colonna sonora per un film fantastico con il vocalizzo delirante del piccolo Gwenael Seki. È qui che si consuma l’inno alla grande dea Dana, Madre della Terra e del Cielo, fonte prima d’ispirazione per i bardi d’ogni tempo. Le altre due perle del disco sono Celtic Etruria, giocata sull’asse tra un giro ciclico-ipnotico dell’arpa e dei synth dai toni più vellutati, e soprattutto l’inarrivabile Into The Spiral, altro momento creativo emblematico del disco che ripesca in versione decisamente acida e psichedelica il Raga Kirwani, sorretto dal sitar di Noçon, l’elettrica di Annibaldi e cesellato dalla declamazione finale di un antico inno di resurrezione egiziano da parte della egittologa Athon Veggi. Non ci sarebbe finale più perfetto se non fosse che in End Of This Time trova esplicitazione  il messaggio al “cambiamento necessario” che permea tutto il disco dall’inizio alla fine: “freedom is the air/freedom is this life/freedom is the space/freedom is your heart/At the end of the world/at the end of this time/the end of this world/just the end of this time!/the end of this world/only the end of this time”. 

 
  
Il nuovo Mystery Of Dana, rilasciato nell’aprile di questo anno, vuole proporre all’ascoltatore la concezione originale delle musiche poi riadattate in Through The Passage, nel tentativo di ridare alla luce quel primordiale temperamento che aveva soggiogato alla composizione dei brani. In effetti, pur non essendoci grandissimi sconvolgimenti dell’insieme, le tracce originali si lasciano apprezzare per una indole più marcatamente folk-rock-progressiva-spaziale, laddove il nuovo missaggio di Delmar Brown e l’introduzione dei synth aveva introdotto anche componenti di ambient-celtica-sperimentale dalle venature contemplative piu pop. Nonostante ciò la genialità artistica di Seki rimane ancorata ad un medesimo livello qualitativo anche se risulta palese che, all’interno del gioco di addizioni e sottrazioni in sede di mixaggio, alcune notevoli piccole variazioni vadino a cambiare la sostanza della materia sonora. Così nella prima versione del brano Through The Passage, ad esempio, si può ascoltare il suono del santoor di Simone Vitale, come più energici inserti di sax e harmonica elettrica. La viola da gamba di Annibaldi si presenta come valore aggiunto nel vecchio tape di Into the Spiral o ancora nella precoce Cies il flauto di Ruben Castro sembra essere più in evidenza e accresce un certo tono celestiale insieme alle campane tibetane.L'oceano, le scogliere del Finisterre galiziano e bretone e le relative leggende e memorie ancestrali sono invece la fonte ispiratrice primaria che plasma le composizioni del capolavoro Son Atlantel, edito da Coop Breizh nell'aprile 2013. Il lavoro, che ha ricevuto grandi lodi dalla critica specializzata, e un notevole riscontro di pubblico nel tour estivo 2013, nonché nel prestigioso scenario della 30° edizione del Rencontres Internationales De Harpes di Dinan, (con in rassegna il fior fiore dell’arpa mondiale con artisti come Ismael Ledesma, Gwenael Kerleo, Vincenzo Zitello, Dominig Bouchaud, Vanessa Gerkens, Mariannig Larch’Hanteg, Ralf Kleeman, Myrdhin etc.) è emblematico nel registrare l'attuale ricerca del musicista che ad un'ispirata vena compositiva accorpa una conoscenza profonda della tradizione dell'arpa bardica e delle musiche bretoni e di metrice celtica, nonché l'innovativa ricerca, che lo caratterizza da anni, nel trapiantare le strutture dei raga indiani nella pratica dell'arpa celtica. A ció va aggiunta una notevole esplorazione delle possibilità espressive sia nella tecnica arpistica, che negli arrangiamenti, che mira alla creazione di un nuovo suono e dona una grande varietà di colori nel sentiero dell'arpa celtica contemporanea...(continua).

 di Andrea Maria Simoniello


 


DISCOGRAFIA  2001 - 2014


 Fairylands - 2001


A Journey To Other Lands - 2005


 Arpe Del Sidhe - 2007


Through The Passage - 2010


Son Atlantel - 2013


Mystery Of Dana - 2014



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