giovedì 10 ottobre 2013

Chicago 1969-1974 : il ritmo di un treno irruente!


Conobbi i Chicago molti anni fa in viaggio con mio padre...la colonna sonora era una sequenza di brani formidabili racchiusi in una audio-cassetta da lui registrata e succesivamente regalatomi...c'erano Pink Floyd, Caravan, Soft Machine, Emerson Lake & Palmer, Led Zeppelin, Perigeo, Beatles, Pfm, Blood Sweet & Tears e Brian Auger... Tra la lunga suite "For Richard" del gruppo di Canterbury e "Astronomy Domine" del folle Barrett (nella versione di Ummagumma del 1969) trovava posto pero' la suggestiva "Mother"... Il groove di quella canzone era trainante e il gioco dei fiati un labirinto di pensieri. Chiesi subito allora chi mai fosse quel gruppo...Erano semplicemente i Chicago, originari proprio della città americana e formatisi nel lontano 1967.
Il breve riferimento ad una leggiadra situazione familiare serve in realtà solo come spunto... un pretesto per sottolineare come in quella magica raccolta, accanto a formazioni piu' blasonate e conosciute (di grande reverenza potremmo dire) c'era anche il sound inconfondibile di un gruppo che, pur non essendo "misconosciuto"(è il contrario piuttosto, dato il notevole successo), all'epoca come oggi veniva forse traslato in secondo piano rispetto ad altri "colossi" del periodo, quando invece sarebbe dovuto essere consacrato come geniale ensemble capace di plasmare con stile unico ed inconfondibile un potente jazz-rock (o meglio rock-jazz) che pero' affondava le sue radici anche nel funky e in un soave canto di gusto squisitamente soul, e strizzava l'occhio pure a divagazioni classicheggianti. E pensare che il primo Chicago Transit Authority, pubblicato nell'aprile del 1969 precede giusto di un anno il più influente Bitches Brew di Miles Davis.
Questo, sia chiaro, non per fare inutili paragoni e stabilire coincidenze, anzi...ma solo per osservare come il jazz-rock dei Chicago non aveva nulla a che vedere con la poetica del grande trombettista o quella dei Weather Report, le cui fusioni e sperimentazioni, insieme al free-jazz americano, saranno il punto di riferimento prioritario per il miglior jazz-rock del vecchio continente. La musica dei Chicago prendeva invece un'altra e totalmente diversa scia d'interpretazione delle sonorità "black" di quel tempo, trovando magari dei compagni d'immaginario negli americani Blood Sweat & Tears già citati, o negli europei Colosseum, If e Passport.
Ma, al di là di ogni contestualizzazione storica... due sono le sole parole che possono descrivere l'anima di questo settetto d'incredibile osmosi: treno ed irruenza! Quello dei Chicago è in effetti un treno irruente, una locomotiva fumante che corre nelle deserte praterie portando con sè il battito avvolgente della sua ritmica incalzante.
Il doppio Chicago Transit Autorithy è già in partenza un capolavoro; il brano d'apertura "Introduction" da inizio alle danze e già contiene l'essenza di tutto il disco...aggressività percussiva, rudezza chitarristica, delicatezza e impetuosità fiatistica, brillantezza ed effervescenza pianistica e organistica...tutti ingredienti che si trovano alternati nel periodo d'oro della band tra il 1969 e 1974. Nell'album d'esordio spiccano anche "Listen", "South California Purples" e la celebre versione di "I'm man" degli Spencer Davis Group capitanati dal futuro Traffic Steve Winwood, mentre la chitarra di "Poem 58" è il ruggito di un leone feroce. Il successivo Chicago del 1970 è ancora un doppio album e contiene le due suite "Ballet For A Girl In Buchannon" con la fantasia flautistica di "West Virginia Fantasies", e "Memories Of Love" con le esplorazioni classiche di "Prelude" e "A.M. Mourning", ma soprattutto due importanti cavalli di battaglia delle future performances live : l'altra mirabile suite "It Better End Soon" e la mitica "25 or 6 to 4". Il secondo lavoro migliore della band è sicuramente Chicago III del 1971, terza tappa di una parabola crescente, un ennesimo doppio che non fa altro che confermare la maturità già posseduta nei precedenti lavori e l'intesa perfetta tra i sette compagni d'avventura. S'inizia con le tempestive "Sing A Mean Tune Kid", "Loneliness Is A Just A Word" e "I Don't Want Your Money", poi vi è sempre un ideale suddivisione del repertorio in suite, tra cui "Travel Suite" con lo splendido tema per flauto di "Free Country" e la mirabile "Elegy," con la soffice "Once Upon A Time"...e il finale dirompente di "The Approaching Storm" con un James Pankow formidabile al trombone. E' qui che è contenuta inoltre la già citata "Mother", la cui audace esecuzione dal vivo è testimoniata da un bel documento-video* che, al di la dell'impatto sonoro, ci restituisce molto bene la dimensione scenica della band : batteria avanzata pronta a sferrare il primo colpo...ai lati di essa basso e chitarra, organo in posizione defilata di controllo...fiati in retroguardia per il contrattacco...l'unica arma...il magma bollente di un sound impeccabile. Il successivo Chicago Live At Carnegie Hall è un maestoso quadruplo album registrato dal vivo, fedele confidente delle capacità strumentali dal vivo. Con V il discorso non cambia..."A Hit By Varese" è uno dei più bei brani di sempre della band, insieme alla ballata "All Is Well" e alla formula vincente dell'organo in "Now That You've Gone". Da Chicago VI il sound inizia invece ad indebolirsi pur sopravvivendo una certa inventiva in brani come "Hollywood" e "What's This World Coming To". L'ultimo sussulto del solitario viaggio dei Chicago è VII, un ottimo disco che loda sempre le qualità compositive e improvvisative del gruppo, come in "Aire", "Italian From NY" e la lunga "Devil's Sweet". Da questo momento in poi il treno rallenta, pur proseguendo con una produzione discografica regolare per tutti gli anni Settanta e Ottanta (che del resto consacrerà un ampio successo di vendite), ma perdendo sempre più quell' irruenza ed efficacia tipica del suo sound maturo, tralasciando, almeno nel nuovo repertorio in studio, quella base di potente rock-jazz, entrando piuttosto in una fase da molti definita "romantica", dove gli elementi sonori abbracciano piuttosto la facile morbidezza o l'eccesiva "sdolcinatura" di tanto soul e rhythm & blues dal sapore "dance", con esiti inevitabimente (e tristemente) più commerciali, lontani ormai dalle lucide intuizioni musicali degli esordi. 


(a cura di Andrea Maria Simoniello)

 Interno di Chicago Transit Authority, 1969




Discografia Chicago 1969-1974

Chicago Transit Authority 1969 (2Lp)
Chicago 1970 (2Lp)
Chicago III 1971 (2Lp)
Chicago Live At Carnegie Hall 1971 (4Lp)
Chicago V 1972
Chicago VI 1973
Chicago VII 1974


Formazione

Robert Lamm / keyboards and lead vocals
Peter Cetera / bass and lead vocals
Terry Kath / guitar and lead vocals
Daniel Seraphine / drums
James Pankow / trombone
Lee Loughnane / trumpet and background vocals
Walter Parazaider / saxophones and flute

Nessun commento:

Posta un commento